martedì 30 giugno 2015

dal corriere della sera del 25 giugno 2015 


Quelle vittime del talidomide
in attesa di giustizia da 50 anni

La battaglia all’Europarlamento per avere i risarcimenti da Berlino. Il farmaco era spacciato in tutto il mondo come un tranquillante ma danneggiava i feti. In Italia Provocò handicap a circa 400 persone: dal 2008 hanno diritto a un indennizzo

di Gian Antonio Stella

«Quante divisioni hanno, i talidomidici?», potrebbe chiedere qualcuno facendo il verso alla famigerata battuta di Stalin sul Papa. Nessuna, ovvio. Anzi: è il più indifeso e innocuo di tutti gli «eserciti» del mondo. Per quanto solo morale e disarmata una «dichiarazione di guerra» delle vittime del talidomide, il farmaco che mutilò migliaia di bambini nati senza braccia, senza mani, senza gambe, metterebbe però la Germania in gravissima difficoltà. Ci si può difendere anche dall’Isis: non dalla vergogna. E i talidomidici hanno tutta l’intenzione di mettere la Bundesrepublik di Angela Merkel sul banco degli imputati proprio per i decenni di ambiguità, a partire dal «Mammuth Prozess» (noi diremmo processo-lumaca) che finirono per coprire le colpe della casa farmaceutica tedesca Grünenthal di Stolberg, vicino ad Aquisgrana. La quale solo nel 2012, oltre mezzo secolo dopo, si è rassegnata a chiedere scusa alle migliaia di persone mutilate dalla criminale sciatteria con cui il letale talidomide fu messo in commercio e addirittura consigliato (consigliato!) alle donne incinte.
Il farmaco spacciato per tranquillante
«Esistono svariate cause che danno origine ai mostri», scrisse Ambroise Paré, uno dei padri della chirurgia, «la prima è la gloria di Dio. La seconda è la sua ira». È passato mezzo millennio, da allora. E nessuno osa più attribuire le disabilità d’un bimbo all’accoppiamento della madre col demonio. Anzi, qui lo sappiamo chi fu il demonio: chi produsse quel farmaco spacciato per un tranquillante senza controllare gli effetti sui feti. Effetti che, come avrebbero dimostrato le analisi successive (e tardive) su conigli, ratti, pulcini, pesciolini, erano catastrofici.
Eppure lo sviluppo mancato del feto è ancora definito, nello spaventoso gergo «scientifico» dei medici «teratogenesi»: dal greco «creazione di mostri». E non è bastato mezzo secolo alle vittime del talidomide per trascinare la casa farmaceutica a pagare per le sue responsabilità non solo le vittime tedesche, risarcite per tacitare le polemiche domestiche, ma anche quelle di tanti altri Paesi del mondo.
Gli indennizzi
Papa Francesco ha visto ieri, all’udienza generale, i talidomidici spagnoli. E ha detto loro poche parole di conforto e incoraggiamento. Bellissime, come sempre. E di grande aiuto morale. Le persone che si sono viste imporre mezzo secolo fa un’infanzia, un’adolescenza, un percorso scolastico e una vita di relazioni sociali complicatissimi, però, come hanno ribadito giorni fa al Parlamento Europeo, hanno la necessità assoluta «anche» di un aiuto economico concreto. Certo, l’Italia, supplendo alle latitanze tedesche e facendosi carico dell’errore di dare per scontata la storica affidabilità dei prodotti germanici consentendo senza controprove «nazionali» tra il ‘58 e ‘62 la vendita di 15 farmaci contenenti il talidomide da parte di 7 industrie farmaceutiche che fecero nel nostro paese tra le 350 e 400 vittime di vari handicap (più gli aborti spontanei, i bambini nati morti e quelli «pietosamente» accompagnati alla morte), ha riconosciuto quasi da un decennio la patologia e dal 2008 versa ai talidomidici più gravi un indennizzo che può arrivare a 5.300 euro mensili.
Cosa voglia dire « talidomidici più gravi» l’ha spiegato Nadia Malavasi, una signora padovana che grazie a un sorriso contagioso, una straordinaria auto-ironia e una volontà d’acciaio è riuscita a far fronte alla disabilità, laurearsi in lingue, sposarsi, fare un figlio e perfino prendere la patente («L’esaminatore mi guardò e disse: “Ma cosa pretende se le mancano due braccia e una gamba!”, però l’ho vinta io») l’ha raccontato a Stefano Lorenzetto. Lei stessa non può lavarsi la faccia da sola e non può prendere un vestito dall’armadio e non può alzare una tapparella e non può tagliarsi una bistecca e se le cade qualcosa per raccoglierla deve sdraiarsi sul pavimento. «In autobus è salita solo una volta in vita sua: l’autista ripartì con le portiere ancora aperte e lei, che non può aggrapparsi ai corrimano, volò sull’asfalto».
La storia di Sherri Finkbine
Quello che lascia senza fiato, ancora mezzo secolo dopo, è leggere i giornali dell’epoca. Come una foto - notizia del Corriere della Sera dell’estate 1962 datata Phoenix, Arizona: «La signora Sherri Finkbine è protagonista di una vicenda che sta appassionando la pubblica opinione americana. Essa attende un bambino per i prossimi mesi, ma avendo fatto largo uso di un tranquillante a base di talidomide si è rivolta alla magistratura per avere l’autorizzazione a interrompere la maternità. Com’è noto la talidomide è sospettata di creare gravissime malformazioni sui nascituri» . Tempo dopo, rilanciando la notizia che la donna aveva cercato d’abortire all’estero, comparivano sui giornali italiani articoli come questo: «Cinque medici svedesi esaminano il caso Finkbine. Dovranno tenere conto del fatto che, in contrasto con certe allarmanti statistiche, soltanto due o tre donne su dieci hanno dato alla luce bimbi anormali per essersi servite delle discusse pillole». Ma come: «Due o tre donne su dieci» sembravano poche? Scriveva Enrico Altavilla: «Durante il secondo mese di gravidanza Sherri Finkbine aveva inghiottito decine e decine di pillole di “Contergan” com’è chiamato in Germania il terribile tranquillante a base di talidomide (glielo aveva portato il marito da Amburgo) che ha già fatto nascere storpi e monchi degli arti inferiori e superiori centinaia di bambini negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna, in Svezia e in altri Paesi. Sono 7.000, si calcola, le vittime del talidomide».
In Italia 125 talidomidici ancora vivi
Erano di più. Molte di più. Almeno ventimila in 24 Paesi, spiega Nadia Malavasi, Presidentessa onoraria di T.A.I Onlus, che rappresenta i talidomidici italiani: «Di 688 nati malformati nel 1961, nel nostro Paese, ne sono rimasti vivi circa 125. Molti sono finiti al Cottolengo e poi deceduti...». Sono passati cinquantatré anni, da quell’estate del ‘62. Eppure le migliaia di vittime del talidomide ancora rivendicano quel risarcimento che la Germania non ha mai concesso. Prossimo appuntamento, fondamentale, il 20 luglio. Alla Commissione Sanità dell’Europarlamento. Dove, chissà, potrebbe essere riletto un biglietto spedito qualche anno fa alla Cancelliera tedesca: «Ho visto piangere i miei genitori e gli ho sorriso per rincuorarli, avrei voluto suonare la chitarra o le tastiere e non mi è stato possibile, avrei voluto portare i miei figli sullo scooter la domenica mattina e non l’ho potuto fare, avrei voluto aiutare mia moglie nelle faccende domestiche quando non stava bene e ho dovuto io chiedere aiuto, avrei voluto fare tante altre cose...» .